Diffusosi con la pandemia, il lavoro “da remoto” offre indubbi vantaggi soprattutto a chi deve destreggiarsi tra ufficio e impegni familiari.
Ecco come gestirlo al meglio, tra organizzazione e produttività
Flessibilità lavorativa, orientamento ai risultati, responsabilizzazione e autonomia dei dipendenti: sono questi, in estrema sintesi, i punti cardine dello smart working, modalità di esecuzione del lavoro subordinato finalizzata a incrementare la produttività e a facilitare il lavoratore.
Complice la pandemia, che ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta, oggi il “lavoro agile” è una realtà anche nel nostro Paese.
Proprio la flessibilità lavorativa offerta dallo smart working costituisce una delle esigenze principali dei caregiver riportate nella prima Carta dei Diritti del Caregiver, presentata lo scorso giugno alla Camera dei Deputati anche grazie al contributo di Teva Italia. Allo stato attuale, infatti, molti caregiver sono costretti a lasciare il lavoro o a ridurre le ore lavorative per adempiere al loro compito di assistenza. Soluzioni di flessibilità lavorativa come lo smart working rendono invece possibile il lavoro e la cura allo stesso tempo.
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano01 nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro Paese erano 3,58 milioni, il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni. I lavoratori da remoto sono cresciuti in particolare nelle grandi imprese private (sono oltre un lavoratore su due, pari a 1,88 milioni) ma sono calati nella Pubblica Amministrazione (515.000 addetti, il 16%). Insomma, se il privato avanza un po’ più velocemente verso il lavoro agile, il settore pubblico e i suoi dipendenti ne giovano meno, anche perché da marzo 2024 non è stato prorogato e la possibilità di lavoro da remoto prosegue sulla base di accordi individuali.
Vera e propria rivoluzione culturale che scardina gli approcci tradizionali, il lavoro agile presenta notevoli benefici, ma anche criticità. Con lo smart working il lavoratore gode dell’autonomia di poter scegliere la modalità di lavoro in termini di luogo e orario. Tutto questo si traduce in una crescita motivazionale e in un migliore work-life balance, ovvero un miglior equilibrio tra la vita professionale e quella privata: pensiamo, per esempio, al tempo risparmiato quotidianamente per raggiungere l’ufficio, da dedicare al proprio benessere, all’attività fisica e alla cura dei propri cari.
Di contro, un certo numero di persone incontra difficoltà nel riuscire a tenere separata la vita privata da quella lavorativa, senza dimenticare il senso di isolamento lamentato da molti, per via delle poche interazioni con i colleghi e le scarse opportunità di vita sociale.
Il compromesso ideale? Il lavoro ibrido. La ricerca “Smart working: la sfida del digitale”, condotta dall’Osservatorio per la sostenibilità digitale, conferma che il lavoro del futuro dovrebbe essere proprio un mix tra lavoro a distanza e lavoro in presenza: lo dichiara il 79% dei residenti nelle grandi città e il 70% di quelli che abitano in piccoli centri. Dalla ricerca emerge una maggiore percezione positiva del lavoro a distanza per migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro.
Dati interessanti emergono anche da uno studio condotto da Iwg. Grazie al lavoro ibrido i lavoratori si sentono meno esausti (79%), meno stressati (78%) e meno ansiosi (72%), con un’ampia maggioranza (86%) che ha affermato di riuscire ad affrontare meglio le proprie giornate grazie a un modello di lavoro più flessibile: pensiamo, per esempio, a chi si deve sottoporre a cure e a chi deve gestire figli e genitori anziani.
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